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Massimo Troisi
1953 1994




Massimo Troisi (San Giorgio a Cremano, 19 febbraio 1953 – Roma, 4 giugno 1994) è stato un attore, regista, sceneggiatore e cabarettista italiano.
Principale esponente della nuova comicità napoletana nata agli albori degli anni settanta, soprannominato «il comico dei sentimenti» o il «Pulcinella senza maschera», è considerato uno dei maggiori interpreti nella storia del teatro e del cinema italiano.
Formatosi sulle tavole del palcoscenico, istintivo erede di Eduardo e di Totò, accostato anche a Buster Keaton e Woody Allen, cominciò la sua carriera col gruppo I Saraceni e poi con gli inossidabili amici de La Smorfia (Lello Arena ed Enzo Decaro). Il successo del trio fu inatteso e immediato e consentì al giovane Troisi di esordire al cinema con Ricomincio da tre (1981), il film che decretò il suo trionfo come attore e come regista. Dall'inizio degli anni ottanta si dedicò esclusivamente al cinema interpretando dodici film e dirigendone quattro. Malato di cuore sin dall'infanzia, morì il 4 giugno 1994 all'Infernetto (Roma) per un fatale attacco cardiaco, conseguente a febbri reumatiche, due giorni prima di terminare la sua ultima pellicola, Il postino, per il quale verrà, qualche tempo dopo, candidato ai premi Oscar come miglior attore e per la miglior sceneggiatura non originale.
Adoperò uno stile inconfondibile, che risaltava una capacità espressiva sia verbale sia mimica e gestuale con la quale riusciva a unire ruoli comici a quelli più riflessivi. Troisi indicò al cinema italiano una via per un'escursione rivitalizzante con in più uno sguardo molto attento alla società italiana ed alla Napoli successive al terremoto del 1980, alle nuove ideologie, al femminismo, all'autoironia crescente e all'affermazione della soggettività individualista. Con lui nacque la nuova tipologia napoletana di antieroe, la vittima dei tempi moderni, un personaggio che riflette tuttora i dubbi e le preoccupazioni delle nuove generazioni.
Occasionalmente si distinse anche al di fuori della recitazione, lasciando altri contributi: scrisse infatti O ssaje comme fa 'o core, una poesia messa in musica dall'amico Pino Daniele, un'allusione tanto ai problemi al cuore (sia dell'attore sia dell'amico musicista) quanto al romanticismo.



Biografia
L'infanzia e gli esordi a teatro

Troisi nacque a San Giorgio a Cremano (Napoli), il 19 febbraio del 1953, ultimogenito dei sei figli di Alfredo Troisi, ferroviere, e di Elena Andinolfi, casalinga. Nel 1951 la famiglia si trasferì al numero 31 di Via Cavalli di Bronzo (lo stesso indirizzo che il padre di Gaetano darà alla Madonna nella sua supplica serale in Ricomincio da tre) assieme ai nonni materni, uno zio e una zia con i loro cinque nipoti. Già da neonato l'attore riscosse il suo primo successo nel mondo dello spettacolo. Infatti la madre Elena spedì una sua foto alla Mellin che lo scelse come testimonial per una campagna pubblicitaria del latte in polvere.


Affetto sin da bambino da febbre reumatica, Troisi sviluppa una grave degenerazione della valvola mitrale, complicata dallo scompenso cardiaco che gli sarebbe stato fatale a soli quarantun anni. «Ricordo che rimanevo a letto, avevo 14, 15 anni e lucidamente, quasi come un adulto, sentivo che di là, in cucina, si stava parlando del mio problema, di cosa fare» dichiarò una volta in un'intervista, confessando come la gravità del suo problema di salute avesse turbato da sempre la sua esistenza. Nonostante i problemi di salute di cui non amava parlare (solo i familiari e gli amici intimi ne erano a conoscenza), affascinato già da adolescente dall'arte, Troisi cominciò a costruirsi il suo futuro, scrivendo poesie e dedicandosi al teatro. Giovanissimo vinse un premio locale di poesia ispirata alla figura di Pier Paolo Pasolini, uno degli autori che più apprezzava allora.


Ad appena quindici anni, mentre frequentava l'istituto tecnico per geometri, esordì nel teatro parrocchiale della Chiesa di Sant'Anna, vero prolungamento dello spazio domestico, insieme con alcuni amici d'infanzia, tra i quali Lello Arena, Nico Mucci e Valeria Pezza. Troisi era una persona molto timida e, almeno all'inizio, credeva di non essere capace di recitare sul palco, davanti a un pubblico. Poi, stando «là 'n coppa» con le luci in faccia, senza vedere la gente che stava sotto a guardare, si accorse invece di sentirsi a proprio agio. Gli venne voglia di continuare e di cominciare a scrivere alcuni mini atti unici. L'esordio sul palco del teatro parrocchiale accadde per l'improvviso forfait di uno degli attori protagonisti. In quell'occasione conobbe Arena, destinato a diventare suo grande amico e principale "spalla" teatrale e cinematografica, ma soprattutto si affacciò alla commedia dell'arte, guadagnando un particolare apprezzamento del pubblico di San Giorgio a Cremano.
Nel febbraio del 1970 Troisi, assieme a Costantino Punzo, Peppe Borrelli e Lello Arena, mise in scena una farsa di Antonio Petito, ’E spirete dint' 'a casa ‘e Pulcinella. Petito, uno degli ultimi grandi Pulcinella napoletani, affascinava molto i ragazzi, e in particolare Massimo, che nella celebre maschera intravedeva una forza nuova, nascosta. «Ho cominciato a scrivere io» raccontò Troisi. «Già scrivevo poesie, ma solo per me, poi ho cominciato a buttar giù canovacci e tra parentesi mettevo ‘lazzi', quando si poteva lasciar andare la fantasia. A me divertiva proprio uscire coi ‘lazzi', improvvisare, per poi tornare al copione. Era il momento del teatro alternativo d'avanguardia e tutti volevano usare Pulcinella. Rivalutarlo. C'era Pulcinella-operaio, e cose del genere. A me questa figura pareva proprio stanca. Pensavo che bisognasse essere napoletano, ma senza maschera, mantenere la forza di Pulcinella: l'imbarazzo, la timidezza, il non sapere mai da che porta entrare e le sue frasi candide». Troisi cominciò a vestire i panni di Pulcinella in spettacoli domenicali, ma, deciso a staccarsi dal canovaccio secentesco per entrare negli schemi d'intrattenimento della comicità moderna, si decise a portare in scena il proprio materiale.
Con gli amici del teatro, il gruppo Rh-Negativo, ai quale si aggiunse qualche tempo dopo Enzo Decaro, recitò in diversi spettacoli. Il primo fu Crocifissioni d'oggi, in cui Troisi si firmò – insieme con Beppe Borrelli – per la prima volta come autore e regista, raccontando delle lotte operaie, di ragazze madri, di emigrazione e di aborto. A questo spettacolo seguì, tempo dopo, Si chiama Stellina, commedia brillante in due atti di Troisi. Il parroco della Chiesa di Sant'Anna li invitò a trovare un nuovo spazio più idoneo dove poter rappresentare quelle tematiche d'avanguardia sociale. Così il gruppo affittò un garage in via San Giorgio Vecchio, 31 dove venne fondato il Centro Teatro Spazio. Qui inaugurarono un tipo di teatro che attingeva alla farsa napoletana e al cabaret. Il consenso del pubblico ottenuto al teatro non compensava però lo stile di vita dell'artista e dei suoi compagni: il gruppo, durante gli inizi spesso non veniva neanche pagato e recitava quasi esclusivamente per gusto e per passione. Non potevano neanche permettersi abiti eleganti e accessori raffinati. Il tutto era quindi svolto in maniera volutamente grossolana, con Troisi sempre in calzamaglia nera o, comunque, con abiti semplici, e con scene e costumi piuttosto scarni ed essenziali.
Nel 1976, Massimo lasciò l'Italia per un intervento alla valvola mitralica a Houston, negli Stati Uniti d'America. Alle spese del viaggio contribuì una colletta organizzata, tra gli altri, dal quotidiano di Napoli Il Mattino. L'intervento, eseguito dal professor Michael E. DeBakey, ebbe buon esito e, quando rientrò in Italia, l'attore riprese immediatamente l'attività teatrale con gli amici di sempre.

Anni settanta: l'esordio televisivo con La Smorfia
Nel 1977 il gruppo (rinominato I saraceni) si assottigliò e rimasero oltre a Troisi, solo Arena e Decaro. Il trio si presentò al Sancarluccio di Napoli, che per un improvviso forfait di Leopoldo Mastelloni dovette ricorrere a una sostituzione. Lo spettacolo ottenne un grandissimo successo, specialmente tra il pubblico giovanile.


Il nome la Smorfia fu dato al gruppo da Pina Cipriani, direttrice del San Carluccio, che alla domanda: «Ma come vi chiamate?» ricevette, per l'appunto, in risposta da Massimo una smorfia, richiamando in questo modo una delle principali tradizioni napoletane: l'interpretazione dei sogni e la risoluzione di questi in numeri da giocare al lotto. La cosa risultò talmente simpatica che, anche per scaramanzia, i tre adottarono questo appellativo. Dopo alcuni spettacoli al Teatro Sancarluccio di Napoli, il gruppo ebbe un rapido successo che gli consentì di approdare prima al cabaret romano La Chanson e ad altri spettacoli comici sui palcoscenici di tutta Italia, poi alla trasmissione radiofonica Cordialmente insieme. Infine furono notati da Enzo Trapani e da Giancarlo Magalli, rispettivamente regista e autore dei testi del programma televisivo Non stop. Dopo essere stati sottoposti ad alcuni "esami", il trio esordì in televisione, ottenendo ottimi consensi e un successo nazionale.

Dal 1979 all'inizio degli anni ottanta, il trio de La Smorfia mise in scena una vasta gamma di sketch in cui vennero presentate la caricature, abilmente costruite, dei più diversi tipi umani e sociali. Usando battute giocate sull'espressività di più linguaggi, da quello verbale a quello mimico-gestuale, e ironizzando su tutto, dalla religione alle tematiche sociali più disparate, La Smorfia cercò di fuggire dal luogo comune di Napoli per ottenere consensi dal profondo, giocando sui pudori, sulla timidezza, su quello che in realtà sulla scena veniva sottinteso, piuttosto che detto. Ciò determinò il grande successo del trio che, dopo l'esordio con "Non stop", approdò anche in "Luna Park", il programma del sabato sera condotto da Pippo Baudo, prima di sciogliersi definitivamente agli albori degli anni ottanta. «Mentirei se dicessi che l'intesa è venuta meno solo sul piano artistico», dichiarò Troisi in un'intervista. «In effetti si erano create anche delle divergenze sul piano dei rapporti umani, specialmente tra me e Decaro. Siamo fatti diversamente, non so chi abbia ragione, ma al punto in cui eravamo occorreva un out definitivo. Poi c'è stato anche il fatto che non riuscivo più a scrivere mini atti per tre. Diciamo la verità: La Smorfia mi limitava. Per me che intendo dire tante cose, era come muovermi in un cerchio chiuso. Avrei potuto adagiarmi, tirare avanti per altri 4-5 anni e fare un sacco di soldi».
Del trio restano memorabili gli sketch dell'Annunciazione, quando Troisi vestiva i panni dell'umile moglie di un pescatore scambiato da un Lello Arena Arcangelo Gabriele per la Vergine Maria, o quella di Noè in cui l'attore napoletano cercava, con una furfanteria tutta infantile, di ottenere dal Patriarca il permesso di salire sull'Arca, spacciandosi per un immaginario animale, il celebre minollo.

Anni ottanta: il passaggio al grande schermo
Il debutto cinematografico: Ricomincio da tre (1981)
All'inizio degli anni ottanta l'industria cinematografica italiana stava attraversando una fase critica: allo scarso afflusso di pubblico nelle sale andava ad aggiungersi la brutta sensazione del prosciugamento delle idee. In un tale frangente fu agevole per Troisi il passaggio dal piccolo al grande schermo, ma le prime proposte non lo allettarono: «C'era tutta una fascia della commedia che non si sa come chiamare, che non aveva più niente a che vedere con la grande Commedia all'Italiana, che veniva a offrirmi film. Io, forte del fatto che facevo teatro, ero contento di fare le mie cose, e per l'imbarazzo di dover fare quello che mi proponevano, ho sempre rifiutato. Ho letto diversi copioni scoraggianti e poi non mi piaceva come questa gente si presentava».


Nel 1981, il produttore Mauro Berardi era alla ricerca di nuovi volti da portare sul grande schermo. Le doti comiche di Troisi non gli sfuggirono e, dato che era in procinto di produzione un film diretto da Luigi Magni e basato sulla storia di re Franceschiello, gli propose il ruolo del protagonista. La pellicola non vide mai la luce poiché Magni accantonò quasi subito il progetto. Berardi, però, voleva lavorare a tutti i costi con l'artista napoletano e si ripresentò da lui con una nuova proposta: gli offrì di scrivere, interpretare e dirigere un film tutto suo. Nel giro di un anno, con l'aiuto di Anna Pavignano, Ottavio Jemma e Vincenzo Cerami, Troisi completò la sceneggiatura di Ricomincio da tre.
La trama della pellicola è incentrata su Gaetano, interpretato dallo stesso Troisi, un giovane napoletano che, stanco della vita da provincialotto fatta di famiglia, di banali uscite con gli amici e di un alienante lavoro in un'azienda alimentare, decide di trasferirsi a Firenze in cerca di nuove esperienze. Il personaggio esprime la condizione di un giovane degli anni ottanta in una realtà particolare, quella della Napoli del dopo terremoto e in un momento storico in cui le donne rivendicano la propria affermazione mettendo in crisi l'identità maschile. Al giovane Gaetano, che da Napoli approda a Firenze, tutti si sentono in dovere di domandare se anche lui è emigrante, in ossequio a una tradizione socio-culturale che vuole i giovani del Sud perennemente in cerca di fortuna nelle città del Nord Italia. A questa domanda Gaetano replica che anche un napoletano può viaggiare per vedere, per conoscere, per entrare in contatto con una realtà diversa.
Il film fu girato in 6 settimane con un budget di 400 milioni di lire. Uscì nelle sale italiane il 12 marzo 1981 e conquistò immediatamente il pubblico (14 miliardi di lire al botteghino), tanto che una sala di un cinema di Porta Pia, a Roma, tenne in cartellone lo spettacolo per più di seicento giorni. Troisi fu la rivelazione della stagione cinematografica italiana. Vinse diversi riconoscimenti per la regia e per la sua interpretazione di Gaetano, due David di Donatello, tre Nastri d'argento e due Globi d'oro. Alcuni critici lo acclamarono come il «salvatore del cinema italiano», mentre altri lo accostarono ai due maestri del cinema partenopeo, Totò e Eduardo, accostamenti che Troisi stesso, con grande modestia e umiltà, rifiutò: «No, a me sembra anche irriverente fare questo paragone. Ma non lo dico per modestia, perché non si fa il paragone con Totò o con Eduardo, questa è gente che è stata trenta-quaranta anni e quindi ci ha lasciato un patrimonio».

Il ritorno televisivo (1982) e la riconferma con Scusate il ritardo (1983)

Nel 1982, chiamato da Rai Tre, all'interno della serie Che fai... ridi?! che presentava la generazione dei nuovi comici italiani, Troisi costruì il film Morto Troisi, viva Troisi! in cui inscenò la sua morte prematura e dove la sua carriera venne narrata postuma. Il film è costruito sulla falsariga di un documentario televisivo, con un collage delle varie apparizioni del regista e spezzoni del suo film e delle sue interpretazioni in teatro. Troisi, parlando di sé della propria morte, sovverte la narrazione introducendo elementi ironici e grotteschi, come, ad esempio, l'apparizione di Roberto Benigni, finto napoletano, che finisce con il parlare male del morto, Marco Messeri travestito da cavallo arabo, o Lello Arena nelle vesti di angelo custode.


Nel 1982 partecipa, come soggettista e attore, nei panni di sé stesso, al film di Ludovico Gasparini No grazie, il caffè mi rende nervoso, al fianco di Lello Arena. Nel film Troisi è l'attesissimo ospite del Primo Festival Nuova Napoli ed è l'obiettivo principale del personaggio interpretato da Arena, un maniaco assassino intenzionato a uccidere chiunque partecipi all'ambito festival. Nel finale del film viene brutalmente ucciso dal maniaco, legato a un organetto che suona ad alto volume Funiculì funiculà (che è anche il nome d'arte che il personaggio di Arena si è scelto per meglio indicare la sua missione) con la bocca tappata con un pezzo di pizza.
Nel 1983 firmò la sua seconda pellicola e forse il suo capolavoro: Scusate il ritardo. Le riprese cominciarono a Napoli il 20 settembre 1982 e vennero ultimate la prima settimana di novembre, ma il film uscì solo il 7 marzo 1983, a due anni di distanza dal primo. Troisi dimostrò subito di essere un autore scomodo per il sistema consolidato del cinema, faceva i film quando ne aveva voglia, quando ne sentiva veramente l'esigenza. «Se ti perdi un film di Troisi» - dichiarò - «non succede niente, te lo puoi vedere tranquillamente tra due anni, oppure lo puoi perdere e ne vedi un altro». Il titolo della pellicola è un riferimento sia al troppo tempo trascorso dal film precedente, del 1981, sia ai diversi tempi dell'amore e alla non sincronia dei rapporti di coppia. Nel film Troisi interpreta Vincenzo, un uomo titubante, timoroso di tutto ciò che potrebbe essere, di tutto ciò che potrebbe accadere. L'indecisione, la superficialità amorosa caratterizzano a fondo questo personaggio tanto emblematico, quanto reale. Infatti, questa pellicola forse è quella maggiormente autobiografica: non vi si racconta infatti qualcosa che parte della sua vita, ma è l'espressione dei dubbi, dei timori e delle poche convinzioni dell'uomo Troisi. Il personaggio di Vincenzo è simile nei caratteri al Gaetano del film precedente, ma più timido e impacciato.
Con Scusate il ritardo Troisi ricrea anche una serie di personaggi-tipo, onnipresenti nel teatro di sempre; per esempio l'amico di Vincenzo, Tonino, interpretato da Arena, richiama in un certo senso il personaggio del vinto d'amore, già presente nella letteratura greca e latina. Il tema principale di Scusate il ritardo è infatti l'amore, il rapporto, tanto difficile, tra un uomo e una donna, tanto difficile soprattutto quando poi uno dei due, in questo caso Anna, interpretata da Giuliana De Sio, cerca nel partner una sicurezza, un amore che non potrà ricevere. Probabilmente è l'opera migliore di Troisi, timoroso di non bissare il grande successo ottenuto da Ricomincio da tre. La grande forza con cui egli scava all'interno del suo corpo, ma soprattutto della sua anima, conferisce al film un eccezionale spessore tematico, oltre a quello artistico.
Nel 1987, grazie al pareggio casalingo contro la Fiorentina, il Napoli allenato da Ottavio Bianchi vinse il suo primo scudetto e i tifosi esposero in una strada di Napoli un grande striscione azzurro con su scritto Scusate il ritardo, parafrasando e rendendo omaggio così alla pellicola di Troisi.

Le collaborazioni con Benigni, Scola e Mastroianni (1984-1988)

Nel 1984 uscì Non ci resta che piangere, scritto, diretto e interpretato con l'amico Benigni. La pellicola narra le vicende di due amici che vengono catapultati, per uno strano scherzo del destino, nel lontano 1492. Molte le varie avventure in cui i due si trovano coinvolti, tra le quali il disperato tentativo di impedire la partenza di Cristoforo Colombo e la scoperta dell'America. Il film nacque in un primo momento come la storia di due amici innamoratisi della medesima donna; motivo che li avrebbe poi portati a un violento litigio. Ma l'idea risultò giustamente banale ai due, nonché all'inedito ruolo di Giuseppe Bertolucci, nel ruolo di ultimo triumviro della sceneggiatura. Una volta poi accordatisi sulla trama, apparentemente semplice e lineare, Troisi e Benigni elaborarono la pellicola sull'improvvisazione; non esisteva un vero e proprio copione ma invece una sorta di canovaccio per qualche scena.
Il costo di soli tre miliardi di lire per nove settimane di lavorazione (anche se ne erano previste otto) fruttò più di cinque miliardi di lire soltanto per quanto riguardava le prime visioni. Più di un miliardo di biglietti assicurarono al film di raggiungere la vetta della classifica degli incassi di quella stagione, scavalcando film come Ghostbusters e Indiana Jones e il tempio maledetto. La coppia Troisi-Benigni funzionò a tal punto da essere accostata al duo Totò e Peppino come ripartizione dei caratteri: Benigni, tracotante ed esuberante va accostato al grande principe De Curtis, e Troisi, più mugugnone e titubante, a Peppino. La stesura della lettera al Savonarola richiama quella mitica scritta dai due napoletani in Totò, Peppino e la... malafemmina, non solo per quanto riguarda le battute, ma anche per l'efficace estro umoristico.


Nel 1986 recitò in un piccolo ruolo nel film diretto da Cinzia TH Torrini, Hotel Colonial, girato in Colombia. Troisi interpretò un traghettatore napoletano emigrato in Sudamerica che aiuta il protagonista nella ricerca del fratello. L'anno successivo interpretò e girò Le vie del Signore sono finite, ambientato durante il periodo fascista. Il film segnò un passaggio importante nella sua evoluzione artistica. La qualità della regia, infatti, risultò molto migliorata, con soluzioni tecniche più raffinate e con un ritmo meno frammentato, dovuto anche alla migliore utilizzazione della macchina da presa, meno statica rispetto ai film precedenti. Troisi interpreta il ruolo di Camillo Pianese, un invalido "psicosomatico", assistito dal fratello Leone (l'inseparabile amico di sempre Marco Messeri), lasciato dalla sua donna e che si trova a consolare un suo amico, malato autentico e innamorato della stessa donna senza essere ricambiato. Il film vinse il Nastro d'argento alla migliore sceneggiatura.
A causa di una crisi cardiaca rifiutò di interpretare un Pulcinella di Strawinskij in uno spettacolo teatrale diretto dal regista Roberto De Simone. Nel triennio seguente collaborò come attore con Ettore Scola in tre film, i primi due con Marcello Mastroianni. Nel 1988 girò Splendor (1988), in cui interpretò il proiezionista Luigi, sognatore incapace di comprendere perché la gente non vada più al cinema. La pellicola non andò bene al botteghino ed è considerato dalla critica una delle prove peggiori di Scola. L'anno successivo fu protagonista di Che ora è? (1989), incentrato sui rapporti conflittuali tra padre e figlio, interpretati rispettivamente da Mastroianni e Troisi. L'inedita coppia si aggiudicò ex aequo la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile alla Mostra del Cinema di Venezia e instaurò una profonda e sincera amicizia.

Anni novanta: gli ultimi lavori
L'ultima collaborazione con Scola (1990) e l'ultima regia (1991)
Nel 1990 collaborò per l'ultima volta con Scola nel film Il viaggio di Capitan Fracassa, che collegò la commedia all'italiana alle antiche radici della commedia dell'arte, in cui recitò nel ruolo di Pulcinella. Nel 2014 Scola raccontò di un progetto mancato, di un film quasi pronto e che poi non si concretizzò per la decisione dell'autore di non farsi più finanziare da Medusa. Troisi avrebbe dovuto interpretare un personaggio di nome Ettore, mentre il titolo della pellicola doveva essere Un drago a forma di nuvola.

L'ultima regia di Troisi, dove è anche sceneggiatore e protagonista, è quella di Pensavo fosse amore... invece era un calesse del 1991, con Francesca Neri e Marco Messeri. Con questo film Troisi decise di dar corpo a un'idea che aveva in mente da diverso tempo, come dimostrano le diverse incursioni sull'argomento nei suoi precedenti lavori: fare un film dove si parlasse esclusivamente di amore. Troisi analizza i sentimenti della coppia moderna e le difficoltà di portare aventi un legame tra un uomo e una donna. Forse fu il film che più di tutti mise a nudo l'interiorità dell'attore, le sue realtà più intime. I protagonisti, Tommaso e Cecilia, interpretati rispettivamente da Troisi e Neri, si amano ma si lasciano ripetutamente per poi tornare insieme, ma in realtà si sentono troppo diversi per riuscire a sposarsi ed essere felici. Proprio quando sono sul punto di farlo, nelle ultime sequenze del film, lui non trova il coraggio di presentarsi in chiesa: preferisce mandarle un biglietto per darle appuntamento in un bar vicino. Perché un calesse in opposizione all'amore, che Troisi immaginò quale unico fatto di governo della società che decise di proporre al pubblico? Non c'è ragione precisa (lo stesso regista lo ribadì più volte), eppure l'efficacia del contrasto sta proprio nell'aver accostato una parola così ricca di significati come amore a un'altra solo apparentemente senza senso come calesse.
Il postino e la scomparsa prematura
Nel 1993 Troisi subì un nuovo intervento negli Stati Uniti, intervento che non gli procurò i miglioramenti che i medici gli avevano promesso. Da allora la sua salute cominciò una fase di declino.
Durante le riprese di Scusate il ritardo il giornalista John Francis Lane, a nome del regista Michael Radford, incontrò Troisi per parlargli di Another Time, Another Place (1983), un film sulla storia d'amore tra una massaia scozzese e un prigioniero napoletano sul finire della seconda guerra mondiale. All'epoca Troisi non se la sentì di girare un film all'estero (solo nel 1987 partecipò a Hotel Colonial) e con un regista esordiente come Radford. Più tardi, presa visione dell'ottimo lavoro del regista, gli telefonò per confessargli di aver perso una grande occasione. I due divennero amici con la promessa di fare un film insieme, ma dovettero passare molti anni prima che si presentasse l'occasione giusta. L'occasione arrivò quando Nathalie Caldonazzo, ultima compagna di Troisi, gli regalò il libro Ardiente Paciencia, dello scrittore cileno Antonio Skármeta, edito in Italia da Garzanti con il titolo Il postino di Neruda, che narra la nascita dell'amicizia tra un semplice postino e il famoso poeta Neruda. Dopo averlo letto, Troisi fu subito entusiasta del libro e ne acquistò i diritti ripromettendosi di realizzare una versione cinematografica. Successivamente propose a Radford di dirigere le riprese, ma stavolta fu il cineasta britannico a prendere tempo. Troisi riuscì a convincerlo con un piccolo inganno, dicendogli di aver proposto la regia a Giuseppe Tornatore.


La sceneggiatura fu scritta principalmente da Radford, Furio Scarpelli e Troisi. I tre si diedero appuntamento a Los Angeles per ultimarla. Troisi approfittò del suo soggiorno in America per spostarsi a Houston, nell'ospedale dove si era operato da ragazzo, per un controllo prima dell'inizio delle riprese. Il responso delle analisi colse l'attore di sorpresa: Troisi apprese di doversi sottoporre con urgenza a un nuovo intervento chirurgico perché entrambe le valvole al titanio si erano deteriorate. Durante l'intervento chirurgico Troisi ebbe un infarto, ma i medici riuscirono a tenerlo in vita. L'attore partenopeo rimase in ospedale un mese e mezzo e in questo periodo i medici gli consigliano come migliore soluzione il trapianto. Coraggiosamente Troisi decise di girare il film prima. Le riprese cominciarono nell'autunno del 1993 a Pantelleria, poi proseguirono a Salina e si conclusero a Procida, l'isola che Troisi considerava in grado di suscitare «le emozioni giuste attraverso i suoi posti e la sua gente». Il film è ambientato tra il 1951 e il 1952, periodo in cui Neruda visse in esilio in Italia, ma è ben poco fedele al romanzo di Skarmeta apportando molte modifiche alla storia e rivoluzionando completamente il finale.
Le condizioni di Troisi peggiorarono giorno dopo giorno, al punto da costringerlo a farsi sostituire da una controfigura nelle scene più faticose. In un'intervista, l'attore Renato Scarpa dichiarò che Troisi disse «questo film lo voglio fare con il mio cuore». L'attore partenopeo disse anche di amare questa pellicola particolarmente, al punto di considerarlo parte della sua stessa vita. Per questa ragione e per l'accoglienza che gli era stata riservata dai procidani durante le riprese sull'isola si impegnò a offrirlo in anteprima nazionale proprio in un locale di Procida; peccato che proprio di questo film non fu anche spettatore. Troisi morì prematuramente nel sonno dodici ore dopo la fine delle riprese, il 4 giugno 1994 a Roma, nella casa della sorella Annamaria al quartiere Infernetto, a soli quarantuno anni, per un fatale attacco cardiaco, conseguente a febbri reumatiche.
Le sue spoglie sono conservate nel Cimitero di San Giorgio a Cremano (Napoli) insieme con quelle della madre e del padre.
Dopo la sua morte, Il postino ottenne un grandissimo successo, sia in Italia sia negli Stati Uniti d'America, e fu candidato a cinque Premi Oscar (tra i quali uno a Troisi come miglior attore: il quarto di tutti i tempi a ricevere una candidatura per l'Oscar postumo), ma dei cinque si concretizzò solo quello per la migliore colonna sonora (scritta da Luis Bacalov).

Tecnica e stile
Il teatro e il cinema "troisiano"
Troisi aveva una tecnica e uno stile originale e fresco, mai portato in scena da nessun altro comico prima di allora. Attraverso il teatro, l'attore partenopeo cercò di mettere la vita parrocchiale in diretto contatto con i problemi più scabrosi della realtà, spezzando il filo che la legava al quieto vivere dell'esistenza familiare: «Penso che la religione, così come la famiglia, sia un potere difficile con cui convivere, un potere modificante. Mi accorgo che parlare di religione come miracolo, come Lourdes, è una mia costante. C'è in quasi tutte le cose che ho fatto, anche quando questo argomento non era calcolato. Perché ho sempre sentito la religione come un fatto strano, esagerato». La particolarità del movimento d'integrazione di Troisi nei luoghi sociali si manifestò ancora, sotto altri aspetti e negli specifici orizzonti linguistici, quando incontrò per via professionale il teatro e il cinema. L'attore entrò in un sistema infrangendo con tutte le sue parti, con la sua storia, i suoi concetti, le sue regole, rifiutandone progressivamente gli ingranaggi che rivelano la corrispondenza tra un certo linguaggio e un sistema di valori al potere. Tale rifiuto si esprime attraverso le figure del distacco critico e della revisione ironica. Il risultato è una messa in crisi del concetto di fede (non solo quella religiosa, ma soprattutto quella nella società, nella parola, nei valori...).
Nel teatro era una sorta di Pulcinella moderno non solo perché accentuava nella figura l'idea del polliciniello (pulcino) che si mette di lato rispetto alla società e alla cultura, ma anche perché i suoi ruoli sembravano aver assimilato le trasformazioni a cui è andata incontro la maschera nel corso dei secoli. Significative sono le parole di Federico Salvatore sul paragone tra l'attore partenopeo e la celebre maschera napoletana: «Massimo è Pulcinella senza maschera. A parte che Pulcinella è stato, nel pieno del suo vigore, della sua vita centrale, censurato, e ha operato lo stesso senza maschera. Per me Troisi rappresenta il Pulcinella che porta. Poiché Pulcinella è stato internazionale, Pulcinella è stato francese, Pulcinella è stato inglese, Pulcinella ha superato il Volturno. Massimo ha fatto la stessa cosa, l'unico napoletano con la napoletanità che ha superato il Volturno, quindi per me rappresenta un'ultima possibilità che abbiamo avuto, da un punto di vista teatrale e cinematografico, di superare, di uscire dallo stereotipo della napoletanità, fine a sé stessa».

La telecamera fissa
L'esordio di Troisi dietro la macchina da presa nel 1981 indicò al cinema italiano una via per un'escursione rivitalizzante, riconducendo nel cinema l'energia del teatro. In Morto Troisi, Viva Troisi c'è una scena assai significante per comprendere l'impianto ideologico del cinema troisiano. Troisi è un elettricista di una troupe televisiva. Lo vediamo mentre sgombra un giardino dai riflettori e, con sua grande sorpresa, s'accorge che la telecamera, rimasta incustodita, è stata lasciata accesa. Continua a fare il suo lavoro, finché, raccolto il coraggio, si avvicina all'obbiettivo e comincia a smozzicare insicuro il suo discorso. Comincia a parlare di certi soldi del Belice, di cui il presidente della Repubblica, Pertini, aveva denunciato la scomparsa, puntando il dito sulla sua povera famiglia devotamente riunita davanti al televisore per ascoltare il messaggio del Capo dello Stato. In questo discorso, Troisi lascia intendere che il Presidente avrebbe dovuto avere il coraggio di mostrare la schiena agli italiani per rivolgersi direttamente ai suoi ministri.
Il cinema di Troisi è appunto l'inserzione dell'ordinario, del quotidiano stupefatto e stupefacente, dell'incoscienza delle sue leggi, della corporeità dell'esistenza domestica negli spiragli che alle volte il Sistema, momentaneamente scollato, lascia aperti. Il soggetto non è solo l'immagine di chi dalla periferia conquista un insperato spazio d'espressione, è un soggetto anomalo, necessariamente estraneo allo stesso sistema dello spettacolo del potere. Non a caso l'elettricista Troisi termina il suo intervento chiamando "fetenti" gli attori che ormai hanno abbandonato la scena.


Alcuni critici parlarono negativamente del regista Troisi, accusandolo di non conoscere le tecniche cinematografiche e di non muovere abbastanza la macchina da presa, che permetteva dialoghi troppo spediti e a volte incomprensibili. La macchina fissa per Troisi è l'allusione a una visione che non è la nostra, che è esterna a noi, che appartiene a un dispositivo meccanico che non dobbiamo pretendere di dominare, ma che dobbiamo avere il coraggio di lasciare in funzione quando è al di fuori della nostra portata, in modo che non sia il movimento della macchina a decidere i nostri movimenti, ma noi stessi, semplicemente rimanendo tali, a mettere la macchina da presa al nostro servizio.

L'antieroe
Con le sue pellicole, Troisi cercò di inseguire una forma espressiva che indicasse una nuova strada al cinema italiano e spazzasse via i vizi della commedia decadente. Per questa ragione decise di affrontare nuove tematiche e rompere i soliti cliché della vecchia commedia. Nei suoi film non esistono più i personaggi partenopei «disoccupati, latin lover o camorristi» che sono maestri nell'arte dell'arrangiarsi. Al loro posto c'è l'antieroe che è timido, di una timidezza a tratti quasi adolescenziale. All'eloquio facile e battagliero oppone le balbuzie, le frasi monche, gli interrogativi senza risposte, il linguaggio mille volte più espressivo delle mani e degli occhi. Che si trattasse di timidezza simulata o vera poco importa. Sta di fatto che questo nuovo napoletano appare come uno che lotta con gli stereotipi imposti dalla napoletanità tradizionale: il napoletano che vuole viaggiare, non emigrare, cercando inutilmente di ribadire il concetto a chi si ostina a cucirgli addosso quell'etichetta. A muoverlo non è la ricerca del lavoro ma il desiderio di conoscenza, il desiderio di venire a contatto con altre realtà, diverse da quella triste e rinunciataria del Sud al quale appartiene. Il napoletano di Troisi non è per le grandi battaglie, per i gesti estremi, allo scontro preferisce la fuga, ma sempre intesa come protesta, come trasgressione.
Nonostante il tentativo di lottare contro gli stereotipi napoletani, Napoli è presente nelle opere di Troisi, ma come realtà specifica, come fenomeno particolare, piuttosto come frammento di una realtà di più ampio respiro che varca i confini regionali. È lo specchio dello smarrimento esistenziale, del crollo delle ideologie, delle sopraffazioni, delle ingiustizie, di una inaccettabile rassegnazione, che appartengono al vissuti di tutti, non solo i napoletani. I personaggi interpretati Troisi parlano napoletano, ma secondo l'attore, avrebbero potuto parlare qualsiasi altro dialetto: «Il mio personaggio parla napoletano e la gente dice: - È Napoli, ecco il napoletano - e invece secondo me questo è un personaggio che parla napoletano, che si vede che tutta la sua esperienza, tutta la sua cultura viene da Napoli, però ha una visione più generale perché il personaggio forse poteva pure essere torinese». Gaetano, il protagonista di Ricomincio da tre è dall'altra parte, l'antieroe per eccellenza, l'uomo che non sa prendere decisioni, eppure vorrebbe riuscire a farlo. Così è anche Vincenzo di Scusate il ritardo, così Camillo di Le vie del Signore sono finite, così Tommaso di Pensavo fosse amore... invece era un calesse.
I personaggi di Troisi, poi, si muovono, in una società nella quale le donne hanno preso coscienza della loro parità con gli uomini e, talvolta, della loro superiorità. I personaggi femminili dei film di Troisi colpiscono per la loro decisione nell'affrontare la vita e finiscono per gettare nello sconcerto una generazione di maschi travolta dal femminismo, ma incapace di staccarsi da una tradizione troppo radicata. Se Marta di Ricomincio da tre è ancora legata a una certa idea di femminismo, Anna di Scusate il ritardo è forse la figura più disponibile al cambiamento, un'immagine così fragile e ideale a cui l'uomo, stupido e stupito, non avrà la forza di credere e che non riuscirà a seguire. E poi c'è Cecilia di Pensavo fosse amore... invece era un calesse, femminilità totale, rischiosa, fisica e ossessiva, messa di fronte al problema di regolamentare il matrimonio, i sentimenti e di codificarli nel linguaggio. La donna di Massimo cerca di riconquistare la femminilità dopo averla vista imbrattare dalla società e dalla frangia misogina e maschilista della commedia cinematografica.

La questione della lingua
Troisi suscitò grande interesse, non solo per il suo eccezionale senso del palcoscenico, ma soprattutto per il suo singolare linguaggio quasi afasico, dai ritmi sincopati, fatto di improvvisi rallentamenti e subitanee accelerazioni, pieno di pause, inciampi, borbottii. Questo era da una parte legato all'attualità e dall'altra impegnato a superarne gli stereotipi, a trascendere dalla realtà, strozzando la parola ed estraendo il ritmo della melodia, il suono del senso. Il linguaggio, una delle caratteristiche del teatro e del cinema di Troisi, è usato nelle sue opere con estrema forza: il dialetto napoletano, vera e propria "lingua", caratterizza un'appartenenza storico-geografica fondamentale per la poetica e l'espressività dei suoi film.

La parlata di Troisi è come una "lingua confidenziale", con la quale l'attore napoletano si sentiva a suo agio. Agli esordi Troisi ritenne prioritaria la questione della comprensibilità del suo linguaggio e perciò continuò a parlare unicamente in napoletano, nonostante all'epoca gli elementi "dialettali" venivano proposti con intransigenza ed estremismo. Troisi non se ne curò molto e affermò più volte, nel corso di interviste o apparizioni televisive, di saper parlare unicamente in lingua napoletana e che, comunque, era una scelta dettata dal voler mantenere le proprie radici culturali intatte. Ad esempio si ricorda l'intervista per Mixer di Isabella Rossellini, nella quale la giornalista chiese a Troisi: «Ma perché parli sempre in napoletano?» ricevendo da quest'ultimo la risposta: «Perché è l'unico modo in cui so parlare, io mi sforzo a parlare italiano ed è giusto che anche voi vi sforziate a capire il napoletano». In seguito, Troisi ebbe l'urgenza di evolvere il suo stile in modo da non risultare troppo scontato, per questo la presenza del napoletano dai suoi film dopo Non ci resta che piangere si affievolisce, fino a scomparire quasi del tutto negli anni '90. Troisi quindi, realizza una lingua "italiana popolare", che possa soprattutto comunicare ad un pubblico molto più vasto, ma comunque tenendo sempre la sua Napoli nel cuore.
Ispirazioni
Per i suoi film e sketch, Troisi prese molte volte ispirazione dalla sua famiglia. L'attore milanese Renato Scarpa raccontò che la comicità di Troisi scaturiva dalla famiglia stessa dell'attore, e ne sono una prova i moltissimi aneddoti che la madre raccontava ai suoi figli dopo essere tornata dal mercato. Ricorrenti sono anche le apparizioni televisive in cui Troisi parlava della sua famiglia, sottolineando le caratteristiche di alcuni dei suoi familiari, specialmente il nonno e la nonna, che lui stesso definiva i “capocomici”. Anche ne La Smorfia, Troisi si ispira alla sua famiglia per realizzare alcuni sketch. Ad esempio, nello sketch Il basso, Troisi racconta:


A Pippo Baudo rivelò come la battuta fosse ispirata a un fatto reale riguardo a suo nonno al quale, invece di mescolare i flaconcini con la medicina e quelli con l'acqua distillata, la nonna iniettò solamente quest'ultima: nonostante l'errore, il nonno diceva di sentirsi meglio. Anche nei suoi film, Troisi si è ispirato alla sua famiglia per realizzare nuovi personaggi o situazioni: ad esempio, in Ricomincio da tre la scena del matrimonio della sorella, interpretata da Cloris Brosca, si ispira davvero al matrimonio della sorella dell'attore, mentre in Scusate il ritardo, il personaggio del fratello che fa l'attore comico di successo (interpretato da Franco Acampora) era un personaggio autobiografico.

Troisi ed Eduardo
Troisi parlava di Eduardo come del suo maestro spirituale, e non sappiamo quanto le sue dichiarazioni dipendessero dal punto di vista degli intervistatori e quanto da una sua personale convinzione. Sicuramente Eduardo rappresentava per il giovane attore il profeta che affascina e al quale non si ha il coraggio di avvicinarsi, ma anche, più intimamente, il maestro che improvvisamente smette di bacchettare e si mette a spifferare consigli: «Un bel giorno, quando ormai ero sottoposto alle torture delle interviste, mi sono accorto che avevo voglia di citare il maestro Eduardo De Filippo. Non lo avevo mai conosciuto, lo avevo visto poco, ma il suo teatro, il suo cinema mi avevano indirettamente dato qualcosa, molto di più di quello che pensassi. Quando penso a Eduardo, mi accorgo di essere soltanto un "cantautore", un attore e un teatrante ciarliero: devo fare ancora tantissima strada...».
Come Eduardo, Troisi è stato un attore e un autore. La differenza tra i due stava nel fatto che Troisi sembrava sempre mettere in scena sé stesso, mentre il "maestro" era stato il genitore e l'interprete di figure indimenticabili, individualità drammatiche nate dall'incontro tra la realtà e la storia del teatro. I monologhi di Troisi non contengono la compiutezza eduardiana, e nemmeno si interrompono per lasciare spazio al puro intervento mimico-gestuale di Totò. Troisi sperimenta un gesto-parola, cioè un linguaggio dove non è possibile separare perfettamente il detto dal fatto, entrambi viaggiano insieme sul binario dell'incertezza e dell'incompletezza. Per Troisi, Eduardo fu prima di tutto il rifiuto della battuta pronta confezionata, meccanica, che non porta con sé nessun'altra coscienza se non quella del gioco della finzione: «Io ho sempre trovato strano che gli attori, gli americani specialmente, avessero la risposta giusta al momento giusto, senza esitazione. E parlo, ad esempio, di attori come John Wayne. Avendo visto, invece, Eduardo in teatro e soprattutto in televisione a me sembrava quella, la verità: asciugarsi prima il sudore e poi ripetere a uno una cosa che avevi già detto. Quella mi sembrava la realtà di casa mia, dove non parlavamo mai uno per volta».

Relazioni e collaborazioni
Da metà anni settanta a metà anni ottanta ebbe una longeva relazione con Anna Pavignano, sceneggiatrice di molte delle sue pellicole. Dopo un periodo di pausa dalla rottura, la coppia tornò a frequentarsi, ma solo professionalmente. Sul set di Le vie del signore sono finite conobbe Jo Champa, a cui rimase legato per due anni. Negli ultimi anni fu legato sentimentalmente a Clarissa Burt e a Nathalie Caldonazzo; quest'ultima gli fu vicina fino al 1994, anno della sua prematura scomparsa. Anna Falchi, nel 2008, rivelò di aver avuto una relazione segreta con Troisi, presumibilmente all'inizio degli anni novanta, quando l'attore era però già fidanzato, mentre Eleonora Giorgi asserì di avere avuto un flirt con lui nei primi anni '80.
A livello professionale Troisi ebbe numerose collaborazioni artistiche, con altri valenti attori, spesso sfociate in grandissime e fraterne amicizie: su tutte quelle con Marco Messeri, Lello Arena, Enzo Decaro, Pino Daniele, Roberto Benigni, Ettore Scola, Marcello Mastroianni, Giuliana De Sio, Carlo Verdone e Anna Pavignano.

Troisi nella cultura di massa

Secondo un sondaggio del 2009, condotto dal giornale online quinews.it con mille intervistati equamente distribuiti per fasce d'età, sesso e collocazione geografica (Nord, Centro, Sud e Isole), Troisi risultava essere il terzo comico italiano più conosciuto e amato, preceduto rispettivamente da Alberto Sordi e Totò. Da una classifica stilata dalla Federazione Italiana Psicologi nel 1997, Troisi risultava essere un mito per la maggior parte dei giovani. I suoi film, molti dei quali rimasti attuali per satira e ironia, sono stati raccolti in collane di VHS e DVD in svariate occasioni e vengono ancora oggi costantemente trasmessi dalla tv italiana o riproposti al cinema, riscuotendo successo anche tra il pubblico più giovane. Inoltre talune sue celebri battute, espressioni-mimiche e gag sono divenute perifrasi entrate nel linguaggio comune.
Negli anni immediatamente precedenti e successivi al disastroso terremoto dell'Irpinia del 1980 e lungo tutto il decennio che ne seguì, Troisi rappresentò un modello per un'intera generazione di giovani napoletani (e non solo) che, intrappolati da un contesto socio-economico che rendeva estremamente difficile l'emancipazione, in primo luogo economica, consumò la sua esistenza o tra il timore di assumere le responsabilità della vita, di uscire da uno stato di perenne adolescenza, o di spezzare ogni cordone ombelicale con il proprio presente. Una gioventù maggioranza silenziosa, un modello meno esportabile rispetto al napoletano tipo prima rappresentato o stereotipato. Troisi dietro il vetro deformante della comicità restituì un'immagine di Napoli, dei napoletani, più vera di quella che emergeva in tante analisi sociologiche o in tante inchieste giornalistiche. E questa immagine veicolava e veicola ancora una denuncia: è un delitto lasciare che tanta gioventù si sprechi lasciandosi andare a una specie di onanismo esistenziale senza apparente via d'uscita. A distanza di anni dai suoi film, il pensiero dell'attore partenopeo è così attuale ed esercita sui giovani d'oggi - che vivono in una società apparentemente trasformata dalla rivoluzione informatica e dai processi della globalizzazione - lo stesso fascino di allora. Per l'anno scolastico 2012-2013, la Biblioteca universitaria di Napoli, nell'ambito della propria attività didattica, propose alle scuole superiori di Napoli e provincia un progetto di studio per ricordare l'attore.
Antonio Ghirelli ha espresso così l'importanza di Troisi nella cultura italiana: «Ha interpretato con grande intelligenza, con istinto straordinario e con notevole finezza culturale un'importante fase di passaggio: dal vecchio comico napoletano, nutrito dalla commedia dell'arte, ambientato in un'atmosfera serena e ingenua, a un tipo moderno, sempre napoletanissimo ma nevrotico, tormentato al di là dell'apparente ironia e allegria... Grande come Buster Keaton».
La notorietà di cui Troisi gode in Italia è andata anche oltre i confini nazionali: ad esempio in America, dove la sua ultima pellicola, Il postino, fu accolto con grande entusiasmo. The Washington Times scrisse: «Il Postino rappresenta quel trionfo internazionale che Troisi sperava di avere e che non ha fatto in tempo a godersi». The New York Times: «Troisi dà al suo personaggio una verità e una semplicità che significa tutto». L'attore Sean Connery, intervistato negli anni novanta, ha altresì dichiarato che gli sarebbe piaciuto girare un film con l'attore napoletano.

Tributi

Sketch (mini atti unici)
Troisi portò in scena, dagli anni settanta all'inizio degli anni ottanta (periodo in cui passò al cinema) diversi sketch (o come preferiva chiamare mini atti unici), dei quali figurava spesso anche come autore. In tale elenco vengono riportati tutti i titoli degli spettacoli/sketch realizzati.

’E spirete dint' ’a casa ‘e Pulcinella (con Costantino Punzo, Peppe Borrelli e Lello Arena di Antonio Petito)
Crocifissioni d'oggi (con il gruppo Rh-Negativo di Massimo Troisi e Peppe Borrelli)
Si chiama Stellina (con il gruppo Rh-Negativo di Massimo Troisi)
Il cabaret (1977) (con il gruppo La Smorfia di Massimo Troisi, Lello Arena e Enzo Decaro)
San Gennaro (1977) (con il gruppo La Smorfia di Massimo Troisi, Lello Arena e Enzo Decaro)
Ketty (1977) (con il gruppo La Smorfia di Massimo Troisi, Lello Arena e Enzo Decaro)
Tra tutte te (1977) (con il gruppo La Smorfia di Massimo Troisi, Lello Arena e Enzo Decaro)
Napoli (1977) - monologo (con il gruppo La Smorfia di Massimo Troisi, Lello Arena e Enzo Decaro)
L'inizio (1979) (con il gruppo La Smorfia di Massimo Troisi, Lello Arena e Enzo Decaro)
La guerra (1979) (con il gruppo La Smorfia di Massimo Troisi, Lello Arena e Enzo Decaro)
Natività (1979) (con il gruppo La Smorfia di Massimo Troisi, Lello Arena e Enzo Decaro)
Angelo e Diavolo (1979) (con il gruppo La Smorfia di Massimo Troisi, Lello Arena e Enzo Decaro)
L'attore (1979) (con il gruppo La Smorfia di Massimo Troisi, Lello Arena e Enzo Decaro)
Il basso (1979) (con il gruppo La Smorfia di Massimo Troisi, Lello Arena e Enzo Decaro)
La favola (1979) (con il gruppo La Smorfia di Massimo Troisi, Lello Arena e Enzo Decaro)
Dio (1979) - monologo (con il gruppo La Smorfia di Massimo Troisi, Lello Arena e Enzo Decaro)
II pazzo (1979) - monologo (con il gruppo La Smorfia di Massimo Troisi, Lello Arena e Enzo Decaro)
II commissario (1979) (con il gruppo La Smorfia di Massimo Troisi, Lello Arena e Enzo Decaro)
La fine del mondo (1979) (con il gruppo La Smorfia di Massimo Troisi, Lello Arena e Enzo Decaro)
La sceneggiata (1980) (con il gruppo La Smorfia di Massimo Troisi, Lello Arena e Enzo Decaro)Filmografia



Attore
Ricomincio da tre, regia di Massimo Troisi (1981)
Morto Troisi, viva Troisi!, regia di Massimo Troisi (1982) - film TV
No grazie, il caffè mi rende nervoso, regia di Lodovico Gasparini (1982)
Scusate il ritardo, regia di Massimo Troisi (1983)
"FF.SS." - Cioè: "...che mi hai portato a fare sopra a Posillipo se non mi vuoi più bene?", regia di Renzo Arbore (1983)
Non ci resta che piangere, regia di Massimo Troisi e Roberto Benigni (1984)
Hotel Colonial, regia di Cinzia TH Torrini (1987)
Le vie del Signore sono finite, regia di Massimo Troisi (1987)
Splendor, regia di Ettore Scola (1989)
Che ora è?, regia di Ettore Scola (1989)
Il viaggio di Capitan Fracassa, regia di Ettore Scola (1990)
Pensavo fosse amore... invece era un calesse, regia di Massimo Troisi (1991)
Il postino, regia di Michael Radford e Massimo Troisi (1994)Regista
Ricomincio da tre (1981)
Morto Troisi, viva Troisi! (1982) - film TV
Scusate il ritardo (1983)
Non ci resta che piangere, co-regia con Roberto Benigni (1984)
Le vie del Signore sono finite (1987)
Pensavo fosse amore... invece era un calesse (1991)
Il postino, co-regia con Michael Radford (1994)Sceneggiatore
Ricomincio da tre, regia di Massimo Troisi (1981)
Morto Troisi, viva Troisi!, regia di Massimo Troisi (1982) - film TV
No grazie, il caffè mi rende nervoso, regia di Lodovico Gasparini (1982)
Scusate il ritardo, regia di Massimo Troisi (1983)
Non ci resta che piangere, regia di Massimo Troisi e Roberto Benigni (1984)
Le vie del Signore sono finite, regia di Massimo Troisi (1987)
Pensavo fosse amore... invece era un calesse, regia di Massimo Troisi (1991)
Il postino, regia di Michael Radford e Massimo Troisi (1994)Premi e riconoscimenti

Targa Mario Gromo 1981: migliore attore esordiente per Ricomincio da tre;
46ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia: Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile (ex aequo con Marcello Mastroianni) per Che ora è?.
Premi Vittorio De Sica 1983 per il cinema italiano;
Premio Pasinetti 1989 per Che ora è?.
Ciak d'oro 1990: migliore attore protagonista per Che ora è?.
Screen Actors Guild Awards 1996: nomination come miglior attore cinematografico per Il postino.Note

Bibliografia
Lello Arena, Enzo Decaro, Massimo Troisi, Stefania Tondo e Fabrizio Coscia, La Smorfia, Einaudi Editore, 1997, ISBN 978-88-06-14407-4.
Salvatore Zanni, Parthenopei, Lulu.com, 2013. Eduardo Cocciardo, L'applauso interrotto. Poesia e periferia nell'opera di Massimo Troisi, NonSoloParole Edizioni, 2005, ISBN 88-88850-31-7.
Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Accademie & Biblioteche d'Italia 3-4/2012: Trimestrale di cultura delle e delle istituzioni culturali, Accademie & Biblioteche d'Italia, 2013, ISBN 978-88-492-2670-6.
Marcello Giannotti, L'enciclopedia di Sanremo: 55 anni di storia del festival dalla A alla Z, Gremese Editore, 2005, ISBN 978-88-8440-379-7.
Paradiso... non potevi attendere?, EMME Edizioni, 1994.Voci correlate
La Smorfia (cabaret)
Minollo
Premio Massimo Troisi
Da domani mi alzo tardiAltri progetti

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(EN) Massimo Troisi, su Internet Movie Database, IMDb.com.
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